Il capostipite della famiglia fu Rinaldini Fortunato, nato nel 1872; sposò in seconde nozze Casanova Videlma, sorella della prima moglie che morì di parto nel 1892, dando alla luce la figlia Angelina. Videlma era sorella di Angelo Casanova che, nei primi anni del ‘900 aveva aperto la prima osteria di Borgo Marina (dove adesso c’è il ristorante “Al Veliero”) dove tutti i pescatori si ritrovavano nel tempo libero a bere un bicchiere di vino e a fare una partita a carte. Negli anni…….,dopo la vendita dell’osteria a Cecchino, Angelo costruì l’hotel Aurelia, a cui diede il nome della moglie. Angelo Casanova (e zì Anzulen) ebbe 4 figli: Luigia (Gigia) che sposò Pierino Bellini commerciante di legname nel Borgo Marina; Oreste che costruì l’Hotel Miami a Milano Marittima; Boesio, che si laureò in giurisprudenza e fece l’avvocato difendendo, spesso, le cause dei pescatori; Ester (la Nuzieda) che rilevò dal padre l’Hotel Aurelia e lo gestì fino alla morte.
Dal matrimonio del nonno Fortunato con Videlma nacquero 3 figli: Rina, Maggiorino e Dina.
La prima attività del nonno fu quella di astatore nel mercato del pesce per conto di alcuni pescatori. Con lui, in quel periodo, c’erano altri due astatori: Carlo Penso e Sacchetti (padre di Lina). Nei primi anni del ‘900, il mercato del pesce altro non era che una tettoia sostenuta da due colonne e da un muro al quale era appoggiata la bilancia per pesare il pesce (la bascula). I pescatori, al ritorno della pesca, portavano le cassette del pesce al mercato dove avveniva l’asta di aggiudicazione davanti ai compratori: l’astatore ne fissava il prezzo di partenza poi in rapida successione il prezzo andava calando finché un compratore, alzando la mano, fissava il prezzo e si aggiudicava quella partita di pesce.
I compratori erano o i rivenditori che vendevano il pesce nella pescheria della Piazzetta Pisacane o le pescivendole (al pisèri) che andavano a rivendere il pesce in campagna con le biciclette. Tra al pisèri c’era anche mia suocera (Adele Del Vecchio) che non è menzionata fra le pescivendole del libro ”La marineria di Cervia”.
Agli inizi degli anni ’30, Fortunato lasciò la mansione di astatore al figlio Maggiorino per intraprendere, con tutta la famiglia, il commercio di pesce fresco, sia al minuto che all’ingrosso. Nei primi anni dell’attività, il nonno andava con un carretto a cavallo a vendere il pesce fino a Forlì, Forlimpopoli e altre località limitrofe.
Nel 1935 trasferì la sua ditta al figlio Maggiorino, il quale incrementò l’attività istituendo, per la prima volta a Cervia, un commercio di esportazione di pesce fresco a mezzo ferrovia. Attraverso questa rete il pesce di Cervia arrivava in molte città italiane come Milano, Firenze, Genova, Ancona, Senigallia, fino ad arrivare a Bari e Palermo; da queste città di mare arrivavano poi le qualità di pesce tipiche di quelle zone che da noi non venivano pescate. In quel periodo, Maggiorino subentrò anche come socio della fabbrica del ghiaccio, al tempo, unica possibilità di conservazione del pesce.
Maggiorino, per il suo attivo commercio di pesce fresco, era stato nominato dalla Camera di Commercio di Ravenna, ispettore generale dei mercati ittici da Senigallia a Venezia. Nomina che non ha mai avuto corso poiché sono subito subentrate le traversie della guerra mondiale e la prematura morte del nominato.
In questi anni la famiglia Rinaldini era diventata un punto di riferimento per la marineria cervese. Infatti, sia il padre che il figlio, hanno sempre aiutato finanziariamente i pescatori, fino ad indebitarsi essi stessi, specialmente quando alcuni di loro decisero di acquistare le prime barche a motore (1938/39) non avendo, questi, i mezzi per farlo. Erano anni, questi, in cui le famiglie del Borgo Marina erano numerose e vivevano in case piccole e con pochi mezzi di sostentamento. La casa dei nonni era sempre aperta a chiunque avesse bisogno e la tavola era sempre apparecchiata per un numero superione a quello dei componenti della famiglia.
Allo scoppio della guerra, l’attività subì un rallentamento. Con l’arrivo del fronte la famiglia andò sfollata prima a Milano Marittima, in una villa in Via Ravenna: durante questo periodo, Maggiorino aiutò a salvare molte persone ricercate dai tedeschi, depistandone le ricerche. Dopo alcuni mesi si ritornò a casa, dove restammo per poco tempo; infatti il 16/07/44 ci fu un grosso bombardamento per il quale cercammo di proteggerci in un rifugio rudimentale, fatto da noi stessi con travi e sacchi di sabbia nel terreno di proprietà del nonno Fortunato, in via Miramare. Fu in tale triste occasione che, nello stesso rifugio, fu trovato morto il gelataio Gino Bilancioni, la cui moglie, Angela Penso, vendeva il pesce nella pescheria di Piazza Pisacane col figlio Tino. Dopo questo bombardamento fummo costretti a sfollare a Pisignano dove lo zio Maggiorino morì, all’età di 37 anni (16/09/1944). La causa della morte fu diagnosticata come infarto; in realtà il suo cuore aveva subito delle lesioni durante quel bombardamento fatto dagli alleati, in cui era rimasto semisepolto coi famigliari nel rifugio.
Maggiorino, per il suo attivo commercio di pesce e per le sue capacità, era stato nominato dalla Camera di Commercio di Ravenna ispettore generale dei mercati ittici, da Senigallia a Venezia. Nomina che non ha mai avuto corso, prima a causa dello scoppio della guerra, poi per la sua prematura scomparsa.
Dopo la morte del figlio, il nonno Fortunato cessò ogni attività, anche perché all’epoca era già in pensione, e morì il 12 giugno 1958 all’età di 86 anni.
Delle sue figlie, la più grande, Angelina, aveva sposato il falegname Erminio Dallamotta: da questo matrimonio nacque il figlio Anzio che è stato per molti anni maestro elementare. Appena sposati vivevano nella casa del Borgo Marina assieme a tutta la famiglia; dopo la guerra divennero custodi nella villa degli Aliprandi in viale Volturno, dove si trasferirono.
La più piccola, Dina, aveva sposato il salinaio Tommaso Fioravanti e faceva la camiciaia; insieme al marito risiedeva nel Borgo Marina nella casa di lui e del fratello Luigi i cui figli aprirono, negli anni successivi, l’omonimo cantiere navale.
L’altra figlia, Rina (mia madre), rimase vedova di Antonio Tiozzi quando io non avevo ancora 2 anni (1928). Antonio, mio padre, faceva il pescatore con il fratello Pierino: quest’ultimo, dopo la morte di Antonio, continuò la sua attività che fu rilevata, a seguito del suo pensionamento, dai figli Domenico e Tonino Tiozzi. |